“La rete dei dormienti, gli amori, le marce ed i Piduisti “
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Una questione d’età, s’è sempre detto in piazza, in bar e a scuola; la polemica è cosa dei giovani. Crescendo, famiglia e lavoro limano le genti e ne raffreddano gli animi. Certo, talvolta la famiglia sembra cosa assai deludente ed il lavoro non sempre lascia le soddisfazioni che si vanno cercando, ed è così che le frustrazioni della vita adulta riportano gli uomini nel loro primevo stadio, quello di riottosi insoddisfatti. Così, lacrime e sorrisi vengono strappati sul web; sono molte le persone che si commuovono davanti alle foto che testimoniano la ‘lotta’ coadiuvata da giovani e meno giovani; fianco a fianco nella tenzone contro il male. Il Male. Paladini con molte macchie e molte toppe che vincono lobby e avversari singolarmente imbattibili; o forse no. Ad ogni modo, lo sforzo, la trazione di queste generazioni in conflitto con l’asse allineato di dormienti ed umani abbietti, che mangiano sulla salute ed il futuro della Terra, è ormai cosa abbastanza comune. Ricordo bene che il tema non sia mai stato d’urgente risoluzione negli anni duemila; o forse è meglio dire che la carne da macello della catena di comando, realmente istruita in materia, non lo considerasse d’opportuna militanza. Oggi invece, combattere per il clima, è davvero molto opportuno. Si badi bene, non mi riferisco all’effettiva necessità di combattere per la Terra, perché il buonsenso non è cosa da rivoluzioni, mi riferisco invece alla necessità di aderire ad un ideale onnicomprensivo, d’alta risonanza, che ci integri ancora di più nella società del contemporaneo. “Qualcuno era comunista perché era solo”, dice Gaber nel suo music teatro, analogamente possiamo rapportarlo all’ambientalismo. Il senso di una manifestazione per l’ambiente quindi? Non rischia di perdersi, nel miasma dell’estetica della rabbia, un’anima di sincero interesse per la salute del proprio environment? Probabilmente si, siano i lettori a decidere da che parte il pendolo della ragione va tendendo.
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Giancarlo ha diciassette anni e si vergogna del suo nome; non gli piace e preferisce farsi chiamare dagli amici ‘JJ’. Giancarlo va a scuola, lo scientifico ma non per scelta sua; Anna, la madre di JJ, decise per lui ancora il primo anno delle medie. Giancarlo è una ragazzo come tanti, ha la media del sei e sogna di diventare un cantautore; in casa non si ascolta la musica ad alto volume, vivono in appartamento, così JJ s’è fatto una cultura del Rock anni settanta assieme ai suoi amici, nelle giornate trascorse nelle comuni della sua città. Giancarlo ha diciassette anni, ma non disdegna mai una birra passata sottobanco, la legge dell’uomo e quella di Dio sono catene che seppe spezzare già in terza media, quando, trovatosi lontano dagli occhi di tutti i reazionari che ne opprimono l’esistenza, boccheggiò il suo primo spinello. JJ è un bravo ragazzo, uno come tanti, suonatore di chitarra come l’idolo imprigionato nei vecchi poster appesi ai muri della sua camera, De André. Giancarlo sogna un mondo migliore, ma a diciassette anni si ha la grinta ma non una totale comprensione di come il mondo giri. A suon di tentativi, alla fine JJ si sente realizzato, trova finalmente la strada che fa per lui; una grande fortuna dal momento che molti, anche in età reverende, non sanno proprio trovarla. Un giorno, durante un’utilissima riunione, chiedo venia, assemblea, Giancarlo scopre che il pianeta sta morendo.
-“Ragazzi”, esordisce una ragazza dal viso esangue, ricoperto in larga parte da lentiggini, “Il pianeta sta morendo”. Lo sconforto generale era cosa assai pesante. “Il pianeta sta morendo?”, chiesero titubanti le più giovani della nidiata, come fosse possibile nessuno seppe spiegarselo.
-“Sono state le multinazionali!”, si sentì ululare alle spalle di JJ. Improvvisamente, ogni compagno si voltò verso la sorgente della realtà rivelata, si trattava di Chiara, lei era stata in Africa per ben due mesi l’anno precedente; la sua gravitàs all’interno dell’assemblea non era seconda a nessuno. “No”, si sentì mugugnare con incerta riverenza dall’angolo opposto della sala permea di fumo e polvere, “No, sono stati i piduisti”. Si trattava di Paolo, figlio di insegnanti e noto arbitrario sostenitore del Governo Monti e della legge Fornero. La sala era un’orchestra di cacofonici bisbigli.
-“Anche”, disse tagliando ogni resistenza acustica la giovane dal volto ricoperto da lentiggini. Si chiamava Virginia, e la sua parola era Ordine. Figlia di un operaio della Fiat e massima esponente della tradizione proletaria della comitiva.
-“Governi, Imprenditori.. E Fascisti”, disse con la schiena dritta e occhi rivolti avanti a sé. Se prima poteva anche esserci un solo dubbio sulle parole di Virginia, l’ultima sentenza convinse tutti.
-“Venerdì”, disse lasciando enfasi da pathos, come piaceva ai ragazzi, “marceremo per l’ambiente”. Un sussulto generale ghermì il cuore di ogni auditore, interessato oltremodo a questa novità nell’ordine del giorno. E mentre i mormorii acquisirono piano piano sostanza, diventando così elemento permeante della sala, ora erano gli impegni accavallati del venerdì il focus d’ogni problema. Ed ad ogni problema si parava davanti una soluzione, una rinuncia, un sacrificio, il primo per la causa.
“Venerdì avrei un pranzo con i mei all’all-you-can-eat.. Ma la Terra non può aspettare, il pranzo si” oppure “Ho un biglietto del treno per Como Venerdì.. Non vedo la mia ragazza da una settimana.. Però potrebbe venire lei, e marciare assieme a noi!”. E nell’enfasi generale, del superamento delle resistenze della routine, anche JJ seppe trovarsi ostacolato dalla vita. Capitava infatti che venerdì ci fossero le prove della sua Band, “Gli Indiani di Via Pavia”. A spezzare ogni dubbio, fu probabilmente lo sguardo inquisitorio della figlia del manovale Fiat; non era affatto cosa ignota o sotterranea il reciproco interesse. Pochi dubbi, solo azione; così erano i ragazzi del ‘Mulino Vannini’.
La settimana passa, JJ la passa in silenzio. Come si marcia per l’ambiente lui non lo sa. Non è un esperto marciatore; alcuni dei suoi amici, marciatori professionisti, lo facevano da una vita, era come una sorta di lavoro part-time. Gianni, detto ‘Nino’ al Vannini, era un professore di Storia e Filosofia al Cossiga, il liceo Classico della città; lui marciava dal ’68, una volta era stato pure pestato dai delinquenti di Ordine Nuovo e ben due volte dai celerini con i caschi blu, servi dei reazionari democristiani che hanno distrutto i sogni della sua generazione. A JJ Nino aveva raccontato tutte queste cose, e mai parve strano che uno statale si appellasse così alle istituzioni, ma ‘che vuoi’, si trattava pur sempre del Vannini; lì certe ‘stronzate’ non contano. Ebbene, in virtù della sua esperienza da militante, JJ chiese consiglio alla vecchia volpe rossa, ma, interrogato sugli auspici di venerdì, anche Nino si trovò spiazzato.
-“Marciare per il clima..”, ripeteva spasmodico davanti al caffè d’orzo che la moglie Camilla aveva appena preparato da una moka dinastica e fuligginosa.
-“Ma.. Ma è geniale, per il clima non ho mai marciato”, terminò colpendo dritto al cuore il povero JJ. Giancarlo di suo non poté che far spallucce, accettando l’ignoranza dell’illustre e facendo fagotto in vista della fatidica data.
-“Fermo”, disse sul finire il docente, osservando il pettirosso lasciare l’albero, “Venerdì, andremo assieme”. La cosa parve piacere al diciasettenne JJ, in fin dei conti era riuscito a reclutare un veterano per una battaglia mai affrontata; in quell’ambiente poteva trasformarsi in un vanto non indifferente.
La mattina di venerdì, JJ prese la cartella ed i libri di matematica, salutò i suoi con un bacio sulle guance, bacio da Giuda, e millantò di recarsi come ogni altro giorno a Scuola, dove sicuramente avrebbe fatto ben poco poiché soggetta ad uno sciopero non meglio identificato. I sorrisi dei suoi genitori puzzavano di perbenismo e dalle loro labbra colava una fiele borghese che rizzava ogni incolto pelo della sua barbetta adolescenziale. Arrivati in piazza, lui e Nino si salutarono con un sorriso carico di aspettativa, certo l’età media del corteo non superava i vent’anni, Nino alzava l’asticella del dettaglio anagrafico e l’asticella della dignità del corteo; tutti erano più che contenti di vederlo. “la famiglia che avrei sempre voluto”, pensò, ma non glielo disse, per conservarsi duro e socialista. Tutto il corteo del Mulino era pronto. In attesa del capò Virginia, li avevano raggiunti in concomitanza tutti i gruppi del coordinamento regionale; “Coordinamento”, che parola meravigliosa, a JJ pareva davvero di far parte di uno di quei film in cui alla fine i protagonisti sconfiggono una minaccia o un periglio pronto a condannare l’umanità. I volti, tesi e atarassici, vagamente annoiati degli organizzatori si muovevano per dare indicazioni alla radio ed ai telefoni, in costante contatto con il resto delle compagnie; simulatamente normalizzati, interiormente eccitati. Accasciati sugli stand candidi, macchiati solo dal rosso ed il nero antifascista, nient’affatto fuori tema per una manifestazione sul clima, lanciavano direttive e ‘dritte’ sui ‘celerini’, appostati come ragni nella sabbia ad ogni angolo della città.
Commento tecnico: “Oh Franco, i pulotti si stanno cagando sotto”.
Sembravano i luogotenenti in verde oliva di Alexander sulla Gustav, ed un dubbio sorse nella mente diciasettenne di JJ, ma non disse nulla per non sembrare un piduista, per inciso, cosa fosse un piduista non ne aveva la minima idea ma nel Vannini veniva spesso usato per denigrare le persone; lo avrebbe ‘googlato’ prima o poi, se lo ripeteva spesso. Alla fine arrivò anche Virginia, accompagnata da sua madre in BMW; un vago sentimento di imbarazzo calò su tutti loro, ma giudicare dalle apparenze è roba da destra, e là al Vannini nessuno avrebbe mai messo in dubbio l’origine proletaria dei Cochetto di via “8 Settembre”. Certo, il papà lavora alla Fiat, e anche se la mamma guidava una tedesca, ripeto, i Cochetto erano comunque gente rispettabilissima per i canoni del Vannini. Scesa dal mostro Blu Notte, che dopo aver mangiato chilometri tracannava sostenibilissima benzina, salutò la madre imbarazzata; se solo l’avesse lasciata un paio di isolati prima, la magia della trasgressione dell’astensione dalle attività scolastiche avrebbe meglio alimentato il mito della bionda con le lentiggini.
JJ sperò sinceramente in un sorriso di Virginia, ma in guerra i sorrisi si rivolgono ai cadaveri dei nemici, non c’è spazio per la tenerezza tra commilitoni; come il battaglione sacro tebano, i più affini tra loro si cingevano fianco a fianco, coprendosi a vicenda con i lunghi striscioni; opliti e falangi delle porpore europee. Virginia, vergine guerriera l’anno precedente e Valchiria ultrice per contemporanea vulgata, permise a Giancarlo di dipingerle il volto con le pitture di guerra, rosse e nere. Il rosso ed il nero, un dialettico rapporto antico quanto la coscienza umana, erano presenti anche in quell’occasione, il che non è affatto un abuso intellettuale. Le dita di JJ sfiorarono le guance del capò del Vannini ed ad una certa tremarono, come se sabotate da qualche maledetto nero di FN. Sabotaggio! No, era un sentimento. Di contro, però, il sentimento porta alla titubanza, e da che sembrò essere Virginia la portatrice di stendardo di quello schieramento in fieri crescente, la vacanza del ruolo creò la necessità di nuovi delfini, al ché una vecchia volpe rossa ne approfittò. L’indice di JJ non aveva ancora finito di ritrarre un cuore rosso e nero, sulla guancia di un’imbarazzata bionda lentigginosa, che Nino, posseduto dai sacri fuochi della rivolta, con in bocca una marlboro light e gli occhi appena fuori dalle orbite, tirò fuori un megafono dalle borse legate alla bicicletta, e con i polmoni dei minatori sardi e dei metallurgici tarantini sbraitò invettive al papa al tempo e al governo. La dolce visione troncò immediatamente, rendendosi entrambi conto del golpe ‘del Nino’. Le mani, accolte nel delirio d’affetto di cui narrano i cantautori all’acqua di rose e chitarra acustica, si ritrassero tutto d’un tratto, poiché s’era fatto il tempo delle pantere nere d’America ed era cessato quello del bucolico italico.
-“Cosa stai facendo!”, gridò Virginia a pieni polmoni, ma il richiamo d’ordine non sortì effetto alcuno, assorti tutti nella visione di un leader attempato. JJ di suo non poté che continuare a marciare; rimanere fermi avrebbe solo peggiorato le cose ed esposto sé stessi al travolgente moto d’un proletariato alla verghiana maniera; una ‘Rivolta dei Cappelli’ pagata sulla propria pelle, la ‘Libertà’ si paga sempre cara. Vi furono sguardi colmi di comprensione per la povera Virginia, JJ, tanto per dirne uno, e molte altre sue amiche del nucleo femminista del Vannini; ma il moto era implacabile, tanto quanto pareva implacabile il professor Nino.
-“L’Ambiente, l’Ambiente non si tocca!”, vociava furente come s’usa fare nelle serate ‘Combat-folk’, il Giovedì sera presso la Tavernetta ‘Da Gianni’.
-“Ci picchiavate nel cinquanta!”, urla d’incoraggiamento sostenevano il demagogo.
-“Vi mangiavate i soldi degli appalti nel sessanta!”, urla giudici s’alzavano dal corteo.
-“Ci mettevate le bombe nelle piazze!”, urla vendicative galvanizzavano il docente di provincia.
-“E ora.. Ora ci negate il futuro! Mangiandovi la terra!”, la colonna era un unico fascio di nervi, protesi allo sforzo ultimo di una vittoria nella giornata di Venerdì. Giancarlo sembrò un poco turbato.
I piedi, protetti da Dottor Martens rigorosamente di seconda mano, di scarpe da tennis un tempo candide m’ora provate dall’età e da Vans bucate dai rigori della frenetica vita suburbana, s’appropinquavano davanti al blocco, bianco istituzionale e azzurro reazionario, della polizia municipale. Ogni studente bigiato, attese il segnale dal loro cesare, e come un’ordinata legione, terminarono il doppio passo ed issarono la loro testuggine. Fermi, risoluti, presi dalla vis della foga e dalla convinzione di poter cambiare le sorti della loro causa. Davanti a loro, sei brigadieri annoiati ed un prefetto visibilmente distratto.
Se l’attitudine non particolarmente avversativa dei ‘pulotti’ generalmente fosse cosa assai apprezzata da chi manifesta per cause ben più volgari, come la chiusura d’una fabbrica o per la caduta di un governo, cose futili insomma, in quell’occasione altro non fece che accendere ancor più gli animi.
Il docile Nino, noto per lo più per regalare sufficienze alle anime pie, indisposte verso uno Schmidt od un Nietzsche ma amanti di una Arendt od un Platone, in quell’occasione liberò il fuoco sacro della rivolta.
-“Maledetti!”, urlò in faccia alle istituzioni, sputando la rabbia di una vita non satura di soddisfazioni. Il prefetto Ferrero, non l’avesse mai fatto e mai si fosse permesso, rispose al Varo di legione in questa sgarbata maniera; ebbe quantomeno la decenza, e questo va riconosciuto, di non aver abusato del suo reazionario megafono.
-“Entro il perimetro di sicurezza per piacere”, disse Ferrero con la boria di chi quel Venerdì sarebbe dovuto andare a mangiare all’ all-you-can-eat con la famiglia o a provare con la sua rock band invece di presenziare ad un corteo.
La noia nella voce del funzionario pubblico, dovuta di certo al calcolo incauto sullo spessore di quel corteo, che era cosa invero eccezionale e non prassi per un’impratichito del mestiere, generò l’ultima goccia che, come una spada di Damocle, pendeva su di una giara tutt’altro che vuota. Gli occhi del Nino, già gonfi di rabbia, esplosero di vero e proprio furore; e da che parve essere un neofita delle cause ambientaliste, in quel momento divenne feticcio di ogni martire per le battaglie climatiche.
-“Io me ne sbatto il..”, Nino non poté terminare la frase che una studentessa, Chiara, tenuta da lui in assai alta considerazione per i suoi due mesi passati in Africa, un Luglio ed un Agosto in Malì con la famiglia in un campeggio da settecento euro a settimana, gli rammentò d’esser politicamente corretto. Nino, con sguardo paterno e complice, d’uno zio che potrebbe ancora imparare qualcosa dalla nipote, boccheggiò un paio di secondi per trovare una formula più adatta ad un corteo di paladini della pace. Illuminato dalla sua saggezza e da quella dei suoi studenti, inspirò di gusto, gonfiando il petto, e lanciò il garrito di libertà:
-“Io, di voi, ME NE FREGO!”. Applausi inconsapevoli devastarono la già straziata quiete della piazza. Ma, ripeto, come una legione in marcia verso valli sconosciute, anche quella del Professor Nino nascondeva un terribile ‘Arminio’. JJ, or non più solo confuso, prese per mano la triste Virginia e, sgomitando tra i commensali del Vannini, si liberarono dalla calca dei ranghi, per rifugiarsi in un vicolo buio alquanto ed appartato. I rumori ed il clamore, scemanti e come ovattati da una porta verso un mondo di decadenza ed irresponsabile romanticismo, non raggiungevano più due cuori persi e, assieme, ritrovati.
-“Cosa è successo al corteo?”, chiese abbattuta Virginia dalle lentiggini nocciola e gli occhi vitrei. JJ fece spallucce; perché infondo del clima a Giancarlo non importava poi molto.
-“Credo sia colpa dei piduisti”, disse lui, facendo decadere la domanda con una risposta generica, ovvia e altresì opportuna. Virginia aggrottò il volto, e si lasciò scappare un suo personale grido di disperazione.
-“Maledetti piduisti”, disse lei con aria affranta, con il cuore di chi ha combattuto per un bene superiore ma che è stato osteggiato dalla vacua e labile umanità altrui. Le mani dei due giovani si sfiorarono, per cercare un ultimo conforto prima del termine di quella giornata di manifestazione; anche se ‘giornata’ è un’assai relativo termine contando che se fossero tornati a lezione seduta stante non avrebbero che perso giusto due ore mattutine. Come i palmi, uniti e solidali, s’unirono anche le labbra in un conforto della carne e dello spirito.
Eh si, prima o poi anche Virginia avrebbe ‘googlato’ ‘piduisti’.
Luca Bernardi
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