Perché gioire della Venezia sott’acqua non è realmente opportuno
Quale che sia l’idea del singolo su quel vasto panorama che è “Amore” è indubbio che una singola definizione non sappia render savio il pensiero d’ognuno. Benché nel tempo una risposta sul vasto repertorio si sia provata a dare, più di una volta, l’oggetto della ricerca è mutevole e di conseguenza scostante nelle definizioni. Infondo com’è possibile definire ciò che per ognuno è l’eterno vacuo da riempire, la volontà ultima nel mare dei vizi e delle virtù, motivo per cui tutti dovremmo rispettare l’affetto degli altri per le proprie ‘catene’, per i propri desideri e per tutto ciò che c’è caro. Ciò che per una persona è motivo d’affetto è per altri motivo di scherno; la storia dell’essere umano. Mi domando poi quale sia la forza motrice che ci spinge a perpetrare questa violenza verso il prossimo, quale sia il motore, quindi, che ci porti a svilire le bellezze nel cuore di chi ci circonda. Le risposte sono davvero innumerevoli. La debolezza umana è forse la madre di ogni peccato di intenzione e di pensiero; la debolezza che con sguardo rapace non ci porta considerare con serena rassegnazione le volontà altrui. Quindi di che parliamo? S’è vero che dal cure nasce amore e ogni fine arte che l’uomo sa vantare è altresì vero che dal cuore dell’uomo giungono anche le sue più folli figlie, madri dei nostri soprusi. Parlando meno per metafore e veicolazioni, possiamo riassumere il tutto con una sola frase, una modesta massima che trova veridicità nella vita di ogni giorno: “L’uomo è bestia e artista”. La trazione al bello è la medesima che porta all’entropia del bello stesso. ‘Eros e Thanatos’, un rapporto dialettico nato nel momento stesso in cui l’umano ha ‘cogitato’ per la prima volta nella sua breve storia. Sebbene un’ideale mondo fatto solo di ‘Eros’ sia un’immagine assai gratificante essa perde sostanza nella sua realizzazione proprio mediante le sue premesse a priori. Un mondo perfetto, laddove per perfetto intendiamo la totale privazione del sopruso, è in sé una struttura priva di fondamenta. Non esiste amore senza malizia, non esiste la bellezza senza la sofferenza.
Sinceratoci che non esista quindi una possibilità tale, quella di vivere in un massimo sistema in cui sia possibile convivere tutti con ‘ l’amore nel cuore’, si facciano le dovute considerazioni sull’utilizzo della propria malizia ai danni delle bellezze che non ci appartengono; o che, ad onore di cronaca, non desideriamo far nostre. La Malizia non va certo contenuta, non per forza dobbiamo vivere reprimendola come l’educazione desidera imporre; in fin dei conti si tratta di una caratteristica più che naturale, essere maliziosi è una vera e propria catarsi spirituale e in quanto tale va vissuta in tutta la sua virulenta necessità. Il vero distinguo, la vera questione, sta invece nella sua realizzazione manifesta. La malizia non per forza deve canalizzarsi in comunicazione aperta, costruita su un modello da esporre ad un pubblico sofferente. La malizia, invece, va dosata nell’apparenza, affinché lo spirito e la carne non ne risentano troppo né in un senso né nell’altro. Talvolta, invece, nemmeno quest’accortezza è possibile, tale è travolgimento che ci porta a defluire in virtù della battaglia. Quando, in questi casi, ci sentiamo realmente bisognosi di umiliare un avversario non necessariamente a noi avverso dobbiamo comunque vagliare un’ultima volta la convenienza dello schieramento. Se anche quest’ultimo limite viene superato l’uomo diviene bestia e dimentica tutto ciò che di costruttivo nutre nel suo cuore per far spazio alla meravigliosa forza distruttrice di cui è capace e dalla quale altro non sa che farsi dominare.
Dunque la domanda a questo punto potrebbe essere: “Perché godere dell’inabissamento di Venezia”, certo non è forse la prima o l’ultima; in base alle proprie inclinazioni una domanda che potrebbe seguire o precedere potrebbe essere una sontuosa: “Perché parlare ora di Venezia quando di questo discorso ad anima universale potrebbe beneficiare un qualsiasi altro tema affine”. Per rispondere in modo preventivo alla seconda domanda, affinché non debba poi interrompermi in nel mezzo, “Scrivo io e scrivo di quel che voglio”.
Perché godere dell’inabissamento di Venezia, lo spiegano delle adorabili tastiere del celeberrimo social bianco e oltremare; fonti, le mie, scrutabili da ogni iscritto al social. Premetto, e qui dichiaro crocefiggendomi, che non tutte le preziose testimonianze verranno integralmente riportate, poiché riscritte in un italiano volgato e fruibile a tutti. Simona G, con la sufficienza di chi il mondo lo ha vissuto in lungo e in largo, dichiara: “Lasciamoli annegare, vogliono l’autonomia, ecco, ci pensassero loro da solo a risolversi il problema senza chiedere come fanno sempre i soldi a Roma per lo stato di calamità in cui versano perennemente”. Questa dichiarazione è interessante per un preciso motivo, la questione veneta, più semplice che complessa, più onirica che pragmatica, è motivo di scherno e di lamentela. Sebbene possa essere condivisibile il sentimento generale sul giudizio sul secessionismo del gonfalone, mi domando in che modo si realizzi il sentimento di della G. Venezia è suolo italiano e pubblico, tanto quanto pubblici ed italiani sono i ‘soldi’ necessari al suo sanamento. Carlo G. ci delizia con considerazioni come: “Speriamo che neanche un euro emigri al nord. Si sparga la voce. Sono pieni di soldi i veneti, pagassero loro”. Riccardo M. rincara con “Stai sereno Veneto, raccogli la tua acqua”. Forse il commento che più ha attratto la mia attenzione è quello di ‘Jenny’ D.P. “Io sono così furiosa che, solo a sentire la “solidarietà” per la gente di Venezia, mi sale il sangue alla testa. Ma costoro credono davvero che siamo dei babbuini? Neanche un centesimo falso potranno avere da me! E spero che tutta la gente del Sud segua il mio esempio. Andassero a farsi fottere [quattro emoticon a simboleggiare una pazienza messa al limite]”.
Tolta la grande serraglia di commenti su quanto effettivamente con i ‘caffè da 20 euro’ Venezia possa sperare di recuperare da sé il danno subito, generalmente questi sono i commenti sul disastro accaduto negli scorsi giorni. Bando all’ipocrisia, di odio online il veneto medio è sufficientemente istruito da poter in solitaria fronteggiare ogni singolo detrattore. Non è un caso che l’occasione ha fatto gli uomini, e le donne, ladri. Per anni la sfrontatezza veneta sul social ha deflagrato colpi maestrali sulle debolezze dei suoi compatrioti peninsulari; affermare che non vi sia nemmeno una motivazione per quest’ondata d’odio è da sciocchi; qui, dove l’acqua ancora scorre, si direbbe ‘far finta de pomi’. L’ironia della vicenda è data, però, dalle peculiari fasce di detrattori interni; dagli stessi veneti che si premurano, in tempi non sospetti, di far sapere agli altri che un ‘negro’ con la carta d’identità marchiata a tricolore non sia realmente italiano, e che oltre a Verona ci sia ben poco nel mondo. E se il fronte veneto si spezza anche internamente, sono molte le lame sotto-tunica che emergono anche al suo interno; “casus belli Zaia”. Pur di poter dire la propria su quanto le effigi di una Lega-Nord ormai inesistente, sulla carta, ci si dimentica del veneziano e ci si accanisce su chi il veneziano non lo ha preservato indirettamente.
E se da un lato abbiamo un centro ed un sud Italia in fermento per colpire una vulnera già aperta, dall’altro abbiamo un nord Italia interessato, non a Venezia ma alla sua politica. Un fuoco incrociato senza senso che colpisce chi questa terra la vive con difficoltà: mi domando cosa possa passare per la testa di un veneziano quando alla sera cerca conforto sui social. Un italiano che riceve odio dalla Penisola, un veneto che non riceve solidarietà dall’entroterra, un veneziano, che dai politici che per lui hanno interceduto per il famigerato ‘Mose’, si sente suggerire ‘forza d’animo’ e una discreta fornitura di stivali di gomma.
E se noi siamo lo Stato, queste sono le amorevoli cortesie che a Venezia ed alla sua gente riserviamo.
Venezia non sono i ‘venti euro di un caffè’, ‘veneti secessionisti’ o qualsiasi altro mostro generato da un malcontento irrazionale. Veneziani sono i bambini che da giorni non escono di casa per l’allarme meteo, veneziane sono le inestimabili opere d’arte che arricchiscono la stessa patria che ognuno, volente o nolente, condivide; veneziane sono le sedi universitarie che accolgono studenti da tutta Italia e non solo.
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