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8 giorni di decontaminazione: il funerale latino

Immagine del redattore: Davide ZennaroDavide Zennaro

Recentemente, con un amico è capitato di discorrere relativamente al concetto di funerale. Argomento un po' macabro, per carità, non certo al primo posto della classifica degli argomenti da scegliere per una conversazione tra amici, ma estremamente affascinante per quanto riguarda il rito e le modalità di esecuzione di esso, differenti in maniera esorbitante da comunità a comunità. Si discuteva del clamore cristiano, che affida il ricordo del defunto ad un discorso abbastanza formale e, diciamocelo, spesso inesatto, del sacerdote, in una Messa che accentua ancor di più il dolore già forte per la scomparsa del conoscente. Nelle comunità protestanti, il ricordo è affidato alle parole dei parenti, parole che si riferiscono ai bei momenti, alla gesta e alla rimembranza dei momenti felici dello scomparso. Così si è arrivati a rivolgere la nostra attenzione al rito degli antichi, in particolare alle cerimonie dei Romani. Ma che cos’era il funerale per la società romana? Il funerale era un rito privato, attraverso il quale la famiglia del defunto con alcuni atti si decontamina dalla morte per essere riammessa nella collettività. La morte è infatti contaminazione, il funerale è la liberazione. Il rito dura ben 8 giorni ed il fine è rendere il defunto un manes, uno spirito aquietato che vive sereno nell’aldilà. Se non riceveva i giusti riti, gli iusta, diventava un lemure, uno spirito inquieto. Il funerale si svolgeva in tre fasi. La prima cominciava nel momento del decesso. La famiglia diventa una famiglia funebre e si segrega in casa perché contaminata. Si tenevano, dunque, lontani gli altri appartenenti alla comunità, venivano apposti dei rami di cipresso sulle porte e si suonavano flauti. Il defunto veniva lavato, vestito e posto su un letto funebre con i pedi rivolti verso la porta d’uscita. Sugli occhi e sulla bocca venivano poste delle monete, gli “oboli di Caronte”. I parenti si imbruttivano, non si pettinavano e non si sistemavano, tenevano la barba lunga e si vestivano come gli schiavi. Nella seconda fase cominciava il riscatto della famiglia funebre tramite il corteo. Esso partiva dalla casa del defunto fino fuori città, sul luogo di sepoltura. Il corpo del defunto veniva, a questo punto, cremato su di una pira. Prima di cominciare a incenerire la salma, si correva intorno alla pira stessa invocando a gran voce il nome del morto. Si bruciavano con il corpo offerte primari, incenso e oggetti cari ai defunti. A questo punto si raccoglievano le ceneri e si sceglieva un osso che veniva posto sotto terra. Si procedeva, infine, ad un banchetto sul luogo di sepoltura, per sancire la separazione tra vivi e morti. In seguito trovava posto la terza fase. Per il morto consisteva nella costituzione di una sua memoria, per i vivi la riammissione nella comunità. La riammissione era sancita dalla everratio, la pulizia della casa, la suffitio, cioè il profumare l’ambiente domestico con zolfo disinfettante e incenso, e da una cena, l’ottavo giorno, con i vicini per constatare la decontaminazione. Rito lungo, come avete constatato, ma estremamente preciso, puntuale e che coglie tutte le sfaccettature della vita di un uomo, il rapporto con la divinità, con i parenti e con la comunità, ristabilendo l'ordine originario e riconciliando il defunto con tutte le parti costituenti della sua esistenza.

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