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Friuli 2019 - Parte I

Immagine del redattore: Carlo MarasciuloCarlo Marasciulo

3 marzo 2019, Cividale del Friuli


Il primo viaggio che ho deciso di annoverare nelle mie memorie è quello che ho deciso di intraprendere presso le più orientali propaggini italiane, a Cividale del Friuli, terra di dominio longobardo e di confine con la Slovenia.

Sosta d’obbligo prima di raggiungere la meta è stata Palmanova, città della pianura friulana non lontana da Udine, fortificata dai Veneziani in epoca moderna per controllare il territorio compreso fra la laguna di Venezia e quella di Grado. Grandi contrafforti di terra e un profondo fossato in cui ora scorre un rigagnolo fra canne precedono le mura vere e proprie, erette fra XVI e XVII secolo a forma di stella, dotate di numerose postazioni avanzate utili a difendere le tre porte del centro, incassate fra le fortificazioni e raggiungibili solo attraversando stretti ponti di pietra. Suddette entrate, adornate con epigrafi celebrative, sono tre, chiamate con i nomi degli altri centri verso le quali sono rivolte: Cividale, Udine e Aquileia.

Di certo la parte più importante della città è la piazza centrale, un grande spiazzo circolare che ricorda Prato della Valle. Tutte le strade convergono si di essa poiché disposte a raggiera, i cui sbocchi sono contrassegnati da due statue laterali ritraenti personaggi seicenteschi della Serenissima. Fa eccezione la strada contrassegnata da due colonne sormontate dalle immagini della Giustizia dotata di spada e bilancia, lì dove un tempo veniva amministrata ed applicata la legge che regolava la vita delle città annesse al dominio Veneziano.

Sulla piazza si affaccia inoltre il duomo dell’abitato. Di stile tipicamente barocco nell’architettura e nelle opere ivi contenute, è dotato di un’unica navata e di una soffitto a carena di nave. Per gli amanti delle agiografie, a destra dell’altare, in una cappella laterale, è pri. Devo assolutamente assaggiare un vino locale, sono sicuro siano ottimi.

L’agriturismo in cui alloggio, il Casale del picchio, è particolare, arroccato sulla cima di una collina, e i suoi gestori, di cui non ho inteso il nome, sono stati molto accoglienti. Per assaporare al meglio la quiete che questo posto mi trasmette, al crepuscolo ho fatto una passeggiata fra i campi, momento in cui il mio Io lirico è più sensibile al Bello. Come volevasi dimostrare, rientrato nei miei alloggi ho buttato giù alcuni versi. Sistemerò il tutto una volta tornato a casa, dove la mia concentrazione sarà totale, ma ho idea chiamerò il componimento Il cipresso, voglio onorare il solitario albero che così gentilmente ha voluto fornirmi l’ispirazione.esente un sacello contenente alcune ossa appartenute alla martire Santa Giustina.

Lasciata Palmanova, proseguo verso nord – est, ed ecco che ad un tratto le colline in cui ero giunto si aprono, lasciando spazio ad una grane pianura coltivata ma poco urbanizzata su cui incombono, brune e incoronate di neve, le alpi della Carnia. La cosa che mi ha più incuriosito è il colore delle zolle dei campi, rossastre come argilla per la presenza di ferro, e il loro sentore, fresco, diverso dalla terra scura e dall’odore acre di Treviso. Tuttavia, è stato il silenzio, il vero silenzio della campagna, che mi ha stupito, una quiete ben diversa rispetto a quella della zona rurbana in cui abito. È un’assenza di rumori solo apparente, s’intende, dove gli unici elementi di “disturbo” sono il cinguettio degli uccelli e qualche sporadico abbaiare di cani chissà dove fra i vigneti. Questi ultimi sono molto numerosi, si spiegano ovunque sino a dove occhio può spingers

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