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Friuli 2019 - Parte IV

  • Immagine del redattore: Carlo Marasciulo
    Carlo Marasciulo
  • 13 apr 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 6 dic 2019

6 marzo 2019, verso Treviso


Stamane ho lasciato Casale del Picchio con enorme rammarico. La bella e aspra campagna del confine orientale del Friuli mi ha conquistato, devo ammetterlo. I saluti sono stati carichi di calore. Si tratta di una famiglia onesta e cordiale, qualità rare da apprezzare nelle persone oggigiorno. Di certo la tenuta è un posto presso cui dovrò fare ritorno, o quantomeno ricordare con affetto mentre sorseggerò il loro Pignolo.


Come preannunciato nelle note precedenti, si è trattata di una giornata campale. Per prima cosa mi sono recato a Gemona, a nord verso Tarvisio. Si tratta di una cittadina quasi del tutto ricostruita dopo il sisma che nel’76 colpì la regione con inaudita ferocia. Il centro venne riedificato tramite gli sforzi combinati della popolazione e della neonata Protezione Civile, creata in quel frangente, uno splendido esempio di amor cittadino che dovrebbe fungere quale paragone per le tutt’ora vergognose condizioni in cui vessano l’Aquila e Amatrice, di cui testimonianze dirette mi confermano l’attuale stato di rovina e abbandono.

Un grande castello di epoca medio medievale troneggia sul centro, posto sulla cima dell’alta collina sulle cui pendici si sviluppa la città. Ma la costruzione più spettacolare è di certo il Duomo gotico dotato di elementi che richiamano lo stile romanico, grandioso edificio collocato all’ingresso del centro storico. Un ampio portale accoglie il visitatore, sormontato da una nicchia colonnata arricchita con numerose figure (sovrani, dame, cavalieri, mercanti ed ecclesiastici), e da un enorme rosone affiancato da altre due vetrate circolari minori. La struttura interna è sempre gotica, a partire dalle volte, dagli archi e dalle colonne, alcune delle quali sporgenti a causa del sisma. Dell’antica arte che doveva impreziosire la chiesa rimangono solo alcuni brani di affreschi restaurati. Degno di nota sono un battistero litico del I o II secolo d. C., posto in una cappella sulla destra, decorato con delfini domati da geni alati e scene di abluzione e purificazione. Seguono dunque un magnifico Cristo ligneo mutilato dal terremoto e risalente al ‘400 e un’ancona lignea verniciata d’oro adornata con scene tratte dal Nuovo e dal Vecchio Testamento, alcune delle quali perdute durante la catastrofe.


Proseguo perciò ancora più a nord, avvicinandomi al confine con l’Austria e percorrendo l’Alta Val Tagliamento, alla mia destra manifesto sottoforma di un largo torrente sassoso. La campagna scompare lasciando il passo a colline brulle e boscose fra le quali, terribili e bellissime, si intravedono cime aguzze e innevate. Trovo affascinanti queste visioni di crudo e gelido splendore.

Giungo presso la cittadina fortificata di Venzone, cinta da solide mura e da un ampio fossato. Posta all’imbocco della valle e chiave d’accesso alla pianura, non stupisce che sia dotata di un simile sistema difensivo capace di reggere e respingere possibili invasori provenienti da nord ed est. Le fortificazioni sono dotate di un forte in rovina, custodendo al loro interno un meraviglioso palazzo comunale medievale e un Duomo gotico del XI secolo, pressoché raso al suolo dal terremoto ed eccezionalmente ricostruito nel pieno rispetto di ogni suo precedente particolare. Prima di addentrarmi nella complessa descrizione del suo interno, parlerò del prospiciente battistero gotico e in pietra.

La sua porta era chiusa, per cui non ho potuto accedervi, ma sono riuscito ad intrufolarmi nell’ambiente che si trova al di sotto, un ipogeo che funge da luogo di conservazione per numerose mummie appartenenti a diversi antichi ed illustri abitanti del posto, splendidamente conservate e che mi hanno ricordato il corpo dell’Uomo del Similaun. Le caratteristiche microclimatiche dell’ipogeo hanno contribuito a preservare questi corpi incartapecoriti. Fatta questa macabra eppure interessante scoperta, mi sono approcciato al Duomo.

Così come il battistero, è realizzato con una pietra bianca di probabile origine calcarea che lo fa risplendere come un purissimo diamante nella luce del sole invernale, notoriamente più aspra rispetto a quella tipica della bella stagione. Voglio qui ripeterlo, gli addetti alla ricostruzione di una simile, mirabile meraviglia hanno compiuto un lavoro di magistrale bravura, replicando e salvando, qualora possibile, la maggior parte dei dettagli di questo straordinario luogo di culto. Che si creda o meno, è un autentico tempio del dio cristiano o, nel mio caso, del Bello.

Come già detto, si tratta di un edificio gotico dotato di una pianta a croce latina ad un’unica navata, interamente in pietra. Gli affreschi superstiti sono pochi e frammentari, ma restaurati con grande perizia. Le cicatrici inferte dal sisma sono ancora chiare e ben visibili. Come in ogni luogo in cui capitano simili tragedie, le ferite tardano a sanarsi, permangono nell’animo delle cose e delle persone simili ad un’indelebile traccia. Danneggiati e mutili sono anche i fregi e le statue. Ad attrarre la mia attenzione è stato innanzitutto un medievale gruppo scultoreo ritraente il Cristo crocefisso sul Golgota attorniato da donne dolenti. Nonostante i volti deturpati, tutte le figure sono capaci di esprimere con estrema chiarezza il devastante dolore della scena narrata. Da anni non sono più credente, ma la potenza suggeritami da alcuni episodi evangelici e biblici detiene ancora una grande attrattiva sul mio spirito. Sono poi presenti anche un paio di magnifiche pietà lignee, una sfigurata e complessa, formata cioè da diversi personaggi, e un’altra meglio conservata posta in cima ad un piedistallo nella cappella a destra dell’altare. Ammetto sia stata un’esperienza catartica, Venzone mi ha colpito tracciando un solco profondo. I sentimenti sopiti che riposano sotto la quotidiana superficie del paese si sono ridestati al mio passaggio. Indubbio che il mio Io abbia svolto il ruolo di medium, di cassa di risonanza affinché queste emozioni celate potessero esprimersi. Credo comporrò qualcosa in merito.


Opto per un’ultima tappa, stavolta di tipo enogastronomico. Abbandonata la Valle del Tagliamento, mi dirigo verso il Medio Friuli e San Daniele, borgo di modeste dimensioni arroccato su una collina e famoso per la produzione dell’omonimo affettato. Come suggeritomi da terzi, mi sono fermato presso Ai Bintars, un’osteria di chiara e nota fama. L’ambiente è molto accogliente, rustico, e mi ha ricordato quello di un locale simile a Roma, quando trascorsi una piacevole serata fra amici in una trattoria del centro. Tornado a Ai Bintars, si tratta di una tipico locale vecchio stile del nord – est: pareti bianche rivestite da pannelli di legno, sedie di vimini, tavoli coperti da tovaglie a quadri bianchi e rossi, pavimento in cotto, quadri ritraenti il mito dell’Alpino e scene di vita agreste. Particolarità che non avevo mai sperimentato, non vi è menù, ma solo una serie di “piatti unici”, ovvero un trionfo di dolce e morbido San Daniele accompagnato da pane, formaggio molle e duro, funghi e carciofi sott’olio e ovviamente vino, in questo caso un Merlot dal sapore denso, che aggredisce lascivo la bocca con la sua gradita e appena accennata acidità.


Con mio rammarico, è tempo di tornare a casa, la mia vita e i miei impegni richiedono la loro giusta attenzione. Un viaggio, questo presso gli estremi confini orientali italiani e oltre, che mi ha fatto riscoprire la bellezza e la pace che solo i piccoli borghi, insieme alla loro quiete cordiale e le loro tradizioni, riescono a farti apprezzare. Il materiale raccolto è tale e di una simile qualità da rendermi più che soddisfatto in merito a questa breve ma gradita vacanza nelle terre friulane.

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