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Il topos dell'infelicità umana: Sofocle

Immagine del redattore: Davide ZennaroDavide Zennaro

EDIPO RE 1186-1222


Χορός

ἰὼ γενεαὶ βροτῶν,

ὡς ὑμᾶς ἴσα καὶ τὸ μηδὲν ζώσας ἐναριθμῶ.

τίς γάρ, τίς ἀνὴρ πλέον

τᾶς εὐδαιμονίας φέρει 1190

τᾶς εὐδαιμονίας φέρει 1190

11901190

ἢ τοσοῦτον ὅσον δοκεῖν

καὶ δόξαντ᾽ ἀποκλῖναι;

τὸν σόν τοι παράδειγμ᾽ ἔχων,

τὸν σὸν δαίμονα, τὸν σόν, ὦ τλᾶμον Οἰδιπόδα, βροτῶν

οὐδὲν μακαρίζω· 1195

ὅστις καθ᾽ ὑπερβολὰν

τοξεύσας ἐκράτησε τοῦ πάντ᾽ εὐδαίμονος ὄλβου,

ὦ Ζεῦ, κατὰ μὲν φθίσας

τὰν γαμψώνυχα παρθένον

χρησμῳδόν, θανάτων δ᾽ ἐμᾷ 1200

χώρᾳ πύργος ἀνέστα·

ἐξ οὗ καὶ βασιλεὺς καλεῖ 1201β

ἐμὸς καὶ τὰ μέγιστ᾽ ἐτιμάθης, ταῖς μεγάλαισιν ἐν

Θήβαισιν ἀνάσσων.

τανῦν δ᾽ ἀκούειν τίς ἀθλιώτερος;

τίς ἄταις ἀγρίαις, τίς ἐν πόνοις 1205

ξύνοικος ἀλλαγᾷ βίου;

ἰὼ κλεινὸν Οἰδίπου κάρα,

ἦ στέγας λιμὴν

αὑτὸς ἤρκεσεν

παιδὶ καὶ πατρὶ θαλαμηπόλῳ πεσεῖν;

πῶς ποτε πῶς ποθ᾽ αἱ πατρῷαί σ᾽ ἄλοκες φέρειν, τάλας, 1210

σῖγ᾽ ἐδυνάθησαν ἐς τοσόνδε;

ἐφηῦρέ σ᾽ ἄκονθ᾽ ὁ πάνθ᾽ ὁρῶν χρόνος,

δικάζει τ᾽ ἄγαμον γάμον πάλαι

τεκνοῦντα καὶ τεκνούμενον. 1215

ἰώ, Λαΐειον ὦ τέκνον,

εἴθε σ᾽ εἴθε σε

μήποτ᾽ εἰδόμαν.

δύρομαι γὰρ ὥσπερ ἰάλεμον χέων

ἐκ στομάτων. τὸ δ᾽ ὀρθὸν εἰπεῖν, ἀνέπνευσά τ᾽ ἐκ

σέθεν 1220

καὶ κατεκοίμασα τοὐμὸν ὄμμα.


Generazioni di uomini, vi conto una dietro l'altra, tutte uguali, tutte viventi nel nulla. Quale uomo ottiene più che l'illusione della felicità? E dopo l'illusione viene il declino. Abbiamo davanti a noi l'esempio del tuo destino, infelicissimo Edipo, e dunque non diremo felice nessuno degli uomini.

Tu che con mire superbe possedesti ogni più splendida prosperità, tu che uccidesti la vergine profetica dagli artigli ricurvi, e ti levasti come un baluardo contro la morte, in difesa della nostra città. Da allora sei chiamato nostro signore e onorato più di ogni altro, regnando sulla nostra Tebe.

Ma ora, a quel che sentiamo, chi è più sventurato di te? Chi nella vicenda della sua esistenza vive angosce e travagli più selvaggi? Nobile Edipo, dunque lo stesso rifugio è bastato alle nozze del padre e del figlio? Come il solco arato da tuo padre potè sopportare anche te, per tanto tempo in silenzio?

Tuo malgrado, ti ha colto il tempo che tutto vede e di queste nozze orribili ti punisce come padre e come tuo figlio. Figlio di Laio, vorremmo non averti mai visto; e piangiamo su di te, gridando dalle nostre labbra i più tristi lamenti. Eppure, se si deve dire la verità, grazie a te abbiamo avuto respiro, grazie a te abbiamo potuto dormire.


Traduzione G. Paduano


L'estratto proviene da quella che viene definita la "tragedia perfetta": l'"Edipo Re" di Sofocle. Edipo, re di Tebe, ha appena scoperto tramite un messo corinzio di non essere figlio di Polibo, re di Corinto, e di essere figlio in realtà di Laio, che in gioventù ha ucciso per "questione di precedenza" ad un incrocio. Oltre a ciò, un'ulteriore orribile verità viene rivelata: Edipo è figlio di Giocasta, moglie di Edipo e quindi sua madre e madre dei suoi figli. Da essere l'uomo più felice del mondo, re onorato e glorioso, si trova nell'arco di poche ore a essere il più infelice e sventurato tra gli uomini. Il coro, dunque, a scena vuota, intona un canto di estrema mestizia che sfocia in un'amara riflessione sull'inevitabile infelicità che incombe su ogni uomo. L'idea del carattere effimero ed evanescente della felicità è una concezione tradizionale della cultura greca, più volte ribadita in letteratura. Ad esempio questo estratto del canto 17, 446-447, in cui Zeus si rivolge ai cavalli di Achille, che sono immortali, con queste parole:


"non c'è nulla di più degno del pianto di un uomo,

fra tutto ciò che respira e cammina sopra la terra"


Nessuno però hai mai rappresentato il concetto di infelicità con l'incisività profonda di Sofocle, che intese rispondere in tal modo all'ottimismo razionalistico dei sofisti e dell'ideologia democratica dell'Atene contemporanea. Il tragediografo ateniese fa di queste tematiche il fulcro della sua produzione. Anche quando, infatti, per l'uomo si realizza una situazione di felicità, la rovina, come una spada di Damocle, incombe sulla sua testa. I meccanismi che regolano l'avvicendarsi di gioie e dolori sono privi di relazione con le decisioni umane e destinati a rimanere ignoti. A determinare ciò è il Tempo, entità divina che "tuo malgrado, [...] vede tutto", porta alla luce verità e assegna pene e assai rari premi alle azioni degli uomini. A tutto questo, Sofocle individua una sola risposta possibile, in una visione veramente "eroica" e anacrosticamente "romantica": una rassegnata accettazione del dolore, condizione necessaria e inevitabile del vivere. A rendere il tutto, se possibile, ancora più amaro e beffardo, Sofocle utilizza spesso i meccanismi della "polisemia" e dell' "ironia tragica", artifizi retorici per cui ciò che il personaggio afferma ha per lo spettatore, che è in possesso di un livello di conoscenza dei fatti più profondo, un significato opposto; il personaggio, suo malgrado, si trova quindi a prefigurare lui stesso, senza saperlo, il tragico esito del suo destino.

Davide Zennaro

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