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Recensione "Il primo re"

Immagine del redattore: Carlo MarasciuloCarlo Marasciulo

Titolo originale: Il primo re


Paese di produzione: Italia, Belgio


Anno: 2019


Durata: 127 minuti


Genere: Storico / drammatico


Regia: Matteo Rovere


Interpreti e personaggi: Alessandro Borghi / Remo

                                     Alessio Lapice / Romolo

                                     Tania Garribba / Vestale Satnei


Ambientato nel Lazio del 753 a.C., il racconto vede i fratelli Romolo e Remo impegnati in una lotta per la sopravvivenza contro i propri simili e una natura aspra e crudele, non domata dall’intervento dell’uomo. La spietatezza di un simile, selvaggio mondo avrà pesanti ripercussioni sulle vicende dei protagonisti e sul legame di sangue che li unisce, tranciandolo di netto conducendoli così al noto e tragico epilogo che segnerà il sorgere di una delle più grandi potenze dell’antichità.


Produzione forse atipica per l’odierna cinematografia italiana, abituata a tutt’altro genere di produzione, Il primo re è un azzardato esperimento di straordinaria riuscita. Trattare con una simile disinvoltura un materiale delicato e a lungo dibattuto come la vicenda di Romolo e Remo, narrandolo mediante quella che erroneamente viene considerata una “lingua morta”, denota grande spirito d’intraprendenza e qualche grano di sana incoscienza.

Approcciarsi a questa pellicola significa fare tabula rasa di qualsiasi pregressa conoscenza e opinione riguardante le mitiche origini di Roma, scardinare ogni retaggio favolistico indotto da frivolezze scolastiche. Quella rappresentata è innanzitutto una vi

cenda umana all’interno della quale il divino s’inserisce in forma religiosa e non mitico – fantastica. Si tratta di un film che trasuda sudore, polvere e sangue, un afrore di umanità barbarica, quella che contraddistingueva la penisola del primo millennio prima di Cristo. Se dall’altra parte del Mediterraneo grandi civiltà e imperi sono sorti e crollati, nel Lazio del 753 a.C. gli uomini vivono in mezzo al fango, in capanne dalle pareti di terra battuta e dai tetti di giunchi e canne palustri. La vita è un susseguirsi di scontri, con la natura ma soprattutto con i propri simili, poiché solo il più forte sopravvive. Homo omini lupo avrebbe detto un pensatore molti secoli più tardi. La violenza è l’unica regola vigente, tale, ad un certo punto, da prevaricare persino il rispetto fra pari e i legami familiari.

Unica altra legge è il timore del divino, che all’interno della quotidiana brutalità frena le pulsioni bestiali degli individui, ammonendoli per i loro comportamenti mediante gestualità e linguaggio coercitivi, che fanno presa sull’irrazionalità e sulla sfera psicologica dei singoli. Si tratta di dei primitivi ed elementari, simili a coloro che li venerano, vicini eppure lontanissimi nelle ritualità che li contraddistinguono, atti indecifrabili e perciò temuti.

Quella ritratta è un’umanità una spanna al di sopra della bestialità, e tratti animaleschi sono riscontrabili in alcune figure che ruotano intorno ai gemelli, cardini della storia. L’uomo è del tutto inerme dinanzi alla natura, per certi versi quieta e maestosa, ammirabile nella sua grandiosa e profonda bellezza, ma al tempo stesso violenta, cruda, distruttrice, che piega gli esseri umani ai suoi rudi capricci e non viceversa, terrificante e misteriosa così come gli dei da cui è permeata.

Una considerevole parte della pellicola è dominata dalla tragica figura di Remo, qui ritratto come un prode e leale combattente, premuroso nei confronti del fratello ferito proteggendolo dai belluini istinti dei suoi compagni di viaggio, di cui si conquisterà il rispetto imponendosi con l’uso forza. Tuttavia, il successo sarà causa della sua rovina. Come in ogni grande tragedia che si rispetti, l’hybris, la tracotanza e la superbia velate di follia che ad un certo punto divoreranno l’eroe metteranno in moto una serie di sciagurati eventi che condurranno al drammatico epilogo della vicenda. Il senso di onnipotenza da cui poi deriverà il brutale spregio dei tanto temuti dei lo alienerà prima dall’amato fratello e successivamente da coloro che egli considerava suoi seguaci.

Si vengono così a contrapporre le figure protagoniste della narrazione: da un lato Romolo, riflessivo e lungimirante, capace di comprendere come sia l’unione degli uomini, e non la sfrenata violenza, a fare la forza di una comunità, e allo stesso tempo legato alla tradizione, fulcro di quella collettività che sarà poi Roma; dall’altro Remo, coraggioso, intraprendente ma a volte impulsivo, ancorato al brutale mondo in cui è immerso e alle sue crude leggi, eppure modernissimo nella sua volontà di governare da se il timone della propria vita, scrollandosi di dosso l’inutile e insensato giogo della religione posto sulle spalle degli uomini da criptici e terribili dei. Sono personaggi a tutto tondo, complessi nelle loro miriadi di sfaccettature, talmente umani nelle parole e nei gesti che è difficile non identificarsi in uno dei due gemelli, trasportati dall’onda delle emozioni che la pellicola riesce a suscitare.

L’unica critica che può essere mossa al film è il repentino cambio di atteggiamento che Remo attua nei confronti di se stesso e di quelli che lo circondano. Troppo velocemente l’astuto guerriero che poteva divenire un assennato pastore di popoli, per riprendere un epiteto caro all’epicità omerica, si tramuta in un sanguinario e lunatico despota, la cui grezza eredità verrà poi colta e rimodellata in altre forme dal fratello superstite. È un passaggio netto e secco, che non permette di comprendere in toto le motivazioni e i processi che stanno dietro a una simile, turpe trasformazione, forse trasposta in tal modo per non interrompere il ritmo incalzante della storia.

Ulteriore osservazione da sottolineare è il ruolo di Romolo, personaggio di primaria importanza a lungo oscurato e marginalizzato dall’egemonia interpretativa del gemello. La sua personalità sboccerà solo verso la fine della storia, imponendosi con decisione sugli eventi in corso. Non si comprende se l’“incubazione” di tale figura sia stata premeditata ai fini narrativi o meno, ma ad ogni modo non influisce negativamente sulla resa generale della pellicola.

Altro azzardo che di certo i cultori della classicità avranno sicuramente apprezzato è l’impiego di dialoghi in protolatino. I particolari suoni che caratterizzano determinate parole (ekke invece che ecce ; ueniat anziché veniat, solo per citare alcuni esempi) ci pongono dinanzi ad un approfondito studio di una lingua ancora oggi ritenuta oscura e ad un magistrale sforzo interpretativo da parte degli attori, che non solo hanno il compito di recitare, bensì anche quello di dare vita e spessore ad una parlata considerata estinta. Ricca di pathos, l’interlocuzione fra personaggi è corredata da sottotitoli che, oltre ad offrire un’ottimale traduzione, non distraggono lo spettatore, anzi lo avvincono calandolo all’interno di questo primitivo universo peninsulare. La realizzazione di un simile, complesso copione non sarebbe stata possibile senza l’ausilio di una competente equipe di studiosi e ricercatori, denotando l’encomiabile volontà di ricreare un cosmo che ritraesse, quanto più fedelmente possibile, un Latium vetus a tutto tondo.

Affascinante e ricchissimo di spunti interpretativi, Il primo re è un riuscito tentativo di trasporre su un media contemporaneo l’ancestrale epos alle radici della nostra storia, innescando una profonda riflessione riguardante la nostra identità in qualità di popolo in un’epoca in cui becere demagogie e disaffezione alla nazione rischiano di obliare le componenti storiche e tradizionali alla base dell’orgoglio di essere italiani.


Voto: 4.5 / 5

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