Prosegue l’esperienza del Movimento Sileiano in collaborazione con il Comune di Treviso durante il terzo appuntamento del ciclo di conferenze intitolato “Storia e Cultura Veneta” tenutosi il 12 marzo 2019 nella Sala Verde di Palazzo Rinaldi, evento come sempre presieduto dall’Assessore per le Politiche per lo Sport e per il Benessere Psico-fisico della Persona Silvia Nizzetto e dal Professor Elvino Comuzzi.
Fra i molti temi emersi e toccati durante una serata più che proficua, la nostra attenzione si è focalizzata sulla lunga trattazione riguardante l’elite che ha regolato la vita politica di Venezia dalle origini sino alla caduta sotto Napoleone, una classe dirigente capace di mutare il proprio assetto mantenendo tuttavia saldi i suoi principi fondamentali, organizzata al punto tale da detenere, con fortune alterne, il controllo su un dominio vasto e multietnico che all’apice della sua espansione si estendeva dall’Adda sino a Cipro. Spontaneo è il parallelo che è possibile stabilire fra l’oligarchia veneziana e quella della Roma repubblicana dei secoli VI e I a. C.
Prima di addentrarsi nella disamina degli elementi di continuità e diacronia fra queste realtà simili e allo stesso tempo diverse, dove la prima fonda buona parte della sua legittimazione nell’altra, è bene compiere un’analisi del termine oligarchia nelle sue componenti storico – linguistiche. Si tratta di una parola di ovvia derivazione greca, composta da oligoi (pochi) e archè (comando), quindi letteralmente “il governo di pochi”, laddove archè simboleggia un potere che pone le sue basi nel rispetto delle leggi e dei costumi di un popolo, quando invece kratos sta a significare il potere ottenuto con la forza, non necessariamente negativo, ma che comunque implica l’uso della violenza nel suo processo di affermazione in un’ottica di discontinuità con la situazione politica precedente. Una lunga tradizione filosofico – letteraria, a partire da Platone, ha relegato la forma oligarchica in un contesto semantico che nell’immaginario collettivo ha assunto sfumature fosche, intendendola come una modalità in cui pochi detengono e mantengono tutto il potere in modo dispotico opprimendo il resto della popolazione con le proprie azioni. Eppure, sempre all’interno del senso comune, simili caratteristiche vengono solitamente attribuite all’aristocrazia terriera di età medievale e moderna inglese, tedesca, spagnola e francese, che certo non si facevano scrupoli a rifarsi sulla popolazione in caso di bisogno o necessità.
Ove risiede perciò la vera differenza fra le due forme di governo? Nel sangue, o per meglio dire, nell’ascendenza delle sue componenti. L’aristocrazia, almeno a livello teorico, è composta da nobili di diritto, ovvero da coloro i quali, vantando un tradizione genealogica di antica e consolidata affermazione politica, detengono il controllo delle istituzioni e del potere economico e coercitivo. L’oligarchia può anche essere costituita da nobili, tuttavia accumunando in se le figure finanziariamente più potenti di una data società, quelli che ne permettono lo sviluppo, non per forza dotate di un’ascendenza nobiliare. Ciò garantisce anche alla classe mercantile l’accesso all’esercizio del potere. L’aristocrazia esclude a prescindere i non nobili, l’oligarchia include chiunque, purché disponga di un certo quantitativo di ricchezze, denotando perciò una democrazia selettiva o meritocrazia che premia gli individui più influenti.
Laddove, all’interno dei rapporti di potere, il capitale diventa più importante della coercizione, e l’uso della forza è scissa dalla possibilità economica, ecco che la nobiltà di sangue e diritto entra in crisi e ascende la classe mercantile. Entrambe le forme operano per mantenere inalterato il proprio status di casta, questo è lapalissiano, ma se l’aristocrazia tende al conservatorismo, l’oligarchia prevede una serie di sviluppi lenti ma costanti nel tempo, che servono si a incrementare il potere politico ed economico dei suoi vertici, ma in questo modo, sempre secondo teoria, promuovendo per via indiretta il benessere dello Stato. L’oligarchia ha bisogno del consenso cittadino per governare, l’aristocrazia, postulando l’esclusivo esercizio del potere politico, no.
Veniamo dunque a Venezia. È ormai noto e risaputo come la primeva popolazione che costituì il nucleo demografico di quella che poi sarà la Serenissima fosse costituita da esuli provenienti dall’entroterra veneto e friulano, in particolar modo da Aquileia. Come ogni città romana che si rispettasse, anche questo centro era dotato di un senato locale che ne amministrava la vita politica. Va subito detto che ancora a partire dal III secolo a.C. la classe dirigente oligarchica repubblicana, e in seguito imperiale, vide il declino dell’antica elite aristocratica proprietaria terriera e l’ascesa ai ranghi senatoriali della classe degli equitus, i cavalieri, che avevano fatto la loro fortuna con i traffici commerciali dopo la conquista del Mediterraneo orientale e con l’assegnamento, da parte del potere centrale, della gestione dei territori sottomessi. Dopo il 31 a.C, il ruolo del Senato oligarchico dell’Urbe venne de facto annullato, ma sopravvisse a livello provinciale nei Senati locali che nei loro ranghi raccoglievano una manciata di nobili e numerosi cavalieri.
La consuetudine latina e i lunghi rapporti con l’Impero Bizantino, prima di sudditanza e poi di alleanza una volta ottenuta l’indipendenza, permisero la sopravvivenza, a Venezia, di una simile tradizione politica, dove la Serenissima si costituì quale Repubblica oligarchica, formata da nobili di nascita e mercanti che avevano ottenuto l’accesso alle loro posizioni mediante il riconoscimento del proprio peso economico.
Venezia era democratica, nel senso che chiunque poteva accedere alla gestione del potere versando una certa somma allo Stato, un procedimento tipico della mentalità mercantile; era monarchica, poiché dotata di sovrano che poteva ricordare la figura del console, le cui azioni erano tuttavia attentamente sorvegliate dalla classe dirigente onde evitare lo spettro della captatio imperii; ma era soprattutto oligarchica, dato che le sue istituzioni erano tutte detenute dai vari membri dell’elite governativa, una costellazione di uffici e magistrature i cui compiti a tratti si sovrapponevano in un’ottica mirata al reciproco controllo dell’altrui operato al fine di garantire sicurezza e prosperità allo Stato.
Era scontato che ad una simile stabilità interna seguisse un’espansione nel resto d’Europa e nel Mediterraneo, in particolare quello orientale, finalizzata non tanto alla conquista territoriale quanto più all’assicurarsi il controllo di quelle rotte commerciali che avrebbero supportato lo sviluppo economico della Serenissima, e di conseguenza il benessere di tutti i suoi cittadini, fenomeno ricorrente in uno Stato retto da individui animati da una forte volontà imprenditoriale, arrivando a costituire un dominio che assunse i tratti di una Federazione o di un odierno Commonwealth, inviando uomini fidati che sapessero sapientemente gestire l’amministrazione delle aree annesse nel rispetto e nell’assimilazione delle precedenti leggi e istituzioni.
A queste caratteristiche, molto simili a quelle della Roma repubblicana da cui essa traeva la sua legittimazione, riflessa anche nella solida affermazione di indipendenza da qualsiasi potere che non fosse Venezia stessa, l’oligarchia della Serenissima seppe accostare flessibilità ed elasticità decisionale, una capacità d’adattamento tale che la fecero primeggiare e ne garantirono il successo anche in frangesti storici particolarmente critici come la più volte citata Guerra di Cambrai.
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