“la pretesa di studiare la storia veneta senza conoscere alcunchè dei suoi lineamenti giuridici e istituzionali è una pretesa vana”
Avv. Renzo Fogliata, 02/04/2019
Come ha potuto un’istituzione statale come quella della Serenissima, in un’epoca di profondi sconvolgimenti, di invasioni, di continue conquiste e congiure, di repentini rivolgimenti e cambiamenti di confini, varcare la soglia del millennio di esistenza stabile? La risposta sta in un unico concetto, calcato più volte in occasione dell’ultimo incontro del ciclo di conferenze a tema la storia veneta dall’avvocato Renzo Fogliata: il concetto di equilibro. Equilibrio istituzionale non conferito allo stato veneziano dalla suddivisione teorizzata (ma non originale!) di Montesquieu, quella suddivisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, ma garantito da una serie di pesi e contrappesi creati da una rete di magistrature capaci di controllare l’una i poteri delle altre. Tutte le magistrature hanno carattere collegiale, cioè caratterizzata dalla presenza contemporaneamente di più membri, sottoposte a contumacia, ossia che una volta scaduto il mandato dovevano aspettare un tempo equivalente alla durata della loro carica per ricoprirla una seconda volta, e carattere temporale, che coprivano un periodo dai 6 ai 18 mesi. Il pregevole intervento dell’avvocato si concentra soprattutto su uno di questi organi istituzionali, eccezionale per i poteri che si vedeva conferito: gli avogadori de comun. Magistratura antichissima con radici già nel XII sec, i cui componenti spesso sono giovani rampanti in cerca di vetrina per un futuro radioso, ha compiti estremamente all’avanguardia per l’epoca: svolge la funzione di pubblico ministero, la pubblica accusa, e ha il potere di intromissio, cioè poteva sospendere qualsiasi provvedimento giudiziario emesso dagli altri organi istituzionali. In questa maniera si creava un “secondo grado” di giudizio, poichè il giudice che aveva emesso la sentenza doveva motivarla e veniva riesaminata. Gli avogadori de comun erano i “tribuni della plebe” dello stato veneziano, difensori delle istanze dello terzo stato, che con il loro veto giudiziario garantivano la legalità dei processi, processi veri, giusti, non esemplari. Nonostante questo richiamo ai caratteri della Roma repubblicana, come le caratteristiche delle magistrature, la Serenissima si distingue per un’altra peculiarità: la non unicità dell’ordinamento giudiziario e la convivenza di sistemi diversi di applicazione del diritto civile in base all’appartenenza allo “stato da tera” e “lo stato da mar”. A Venezia, infatti, si applica il diritto veneto, mentre, ad esempio, a Treviso o a Verona, per secoli sotto influenza imperiale, il diritto romano. Sta al giudice trovare il compromesso tra le parti, rifacendosi prevalentemente alla tradizione, fonte inesauribile del diritto.
Specchio dell’equilibrio dell’aspetto istituzionale della Repubblica Serenissima è il modulo architettonico con cui gli edifici del potere di laguna e terraferma venivano realizzati. Emblema e esempio più lampante di ciò è il nucleo della potenza dello stato veneto, uno dei palazzi più irripetibili a livello mondiale: Palazzo Ducale. Lo scopo di questo modulo era, infatti, proprio quello di rappresentare l’armonia simbolica tra potere e sudditi. Con la sua struttura aerea e traforata, il Palazzo Ducale non è puramente un’opera d’arte, con lo scopo di stupire con la sua bellezza le delegazioni straniere, ma serve a trasmettere un messaggio chiaro: è completamente aperto al piano terra, semiaperto al primo e chiuso al secondo. Perché costruire il nucleo della città, sprovvista di mura, apparentemente alla mercè di invasori e rivoltosi, se non per dimostrare al mondo la “concordia ordinum” di ciceroniana memoria? La struttura evidenzia esattamente il capovolgimento della gerarchia statale veneta rispetto alla gerarchia imperiale, non un potere dall’alto verso il basso, ma dal basso verso l’alto. Il doge, infatti, veniva eletto da un’assemblea di maggiorenti, eletti a loro volta per acclamazione. Doge e placitum, che poi evolverà nel Maggior Consiglio, creano così una diarchia, controllata dai 6 consiglieri dogali del Minor Consiglio, garanti della bontà o meno delle scelte politiche della diarchia.
Si conclude, così, questo ciclo di conferenze a tema " storia e cultura veneta” patrocinate dal Comune di Treviso, incontri certamente stimolanti e forieri di nozioni sconosciute alla Sileiana, che si augura di aver trasmesso ai lettori nella maniera più chiara, sintetica e accattivante possibile le informazioni dai suoi membri assorbite.
Davide Zennaro
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