Viuere, Gallio frater, omnes beate uolunt, sed ad peruidendum quid sit quod beatam uitam efficiat caligant; adeoque non est facile consequi beatam uitam ut eo quisque ab ea longius recedat quo ad illam concitatius fertur, si uia lapsus est; quae ubi in contrarium ducit, ipsa uelocitas maioris interualli causa fit. Proponendum est itaque primum quid sit quod adpetamus; tunc circumspiciendum qua contendere illo celerrime possimus, intellecturi in ipso itinere, si modo rectum erit, quantum cotidie profligetur quantoque propius ab eo simus ad quod nos cupiditas naturalis inpellit Quam diu quidem passim uagamur non ducem secuti sed fremitum et clamorem dissonum in diuersa uocantium, conteretur uita inter errores, breuis etiam si dies noctesque bonae menti laboremus. Decernatur itaque et quo tendamus et qua, non sine perito aliquo cui explorata sint ea in quae procedimus, quoniam quidem non eadem hic quae in ceteris peregrinationibus condicio est: in illis comprensus aliquis limes et interrogati incolae non patiuntur errare, at hic tritissima quaeque uia et celeberrima maxime decipit.
Seneca, De Vita Beata I-II
Tutti, o fratello Gallione, vogliono vivere felici, ma quando poi si tratta di riconoscere cos'è che rende felice la vita, ecco che ti vanno a tentoni; a tal punto è così poco facile nella vita raggiungere la felicità, che uno, quanto più affannosamente la cerca, tanto più se ne allontana, per poco che esca di strada; che se poi si va in senso opposto, allora più si corre veloci e più aumenta la distanza. Perciò dobbiamo prima chiederci che cosa desideriamo; poi considerare per quale strada possiamo pervenirvi nel tempo più breve, e renderci conto, durante il cammino, sempre che sia quello giusto, di quanto ogni giorno ne abbiamo compiuto e di quanto ci stiamo sempre più avvicinando a ciò verso cui il nostro naturale istinto ci spinge. Finché vaghiamo a caso, senza seguire una guida ma solo lo strepito e il clamore discorde di chi ci chiama da tutte le parti, la nostra vita si consumerà in un continuo andirivieni e sarà breve anche se noi ci daremo giorno e notte da fare con le migliori intenzioni. Si stabilisca dunque dove vogliamo arrivare e per quale strada, non senza una guida cui sia noto il cammino che abbiamo intrapreso, perché qui non si tratta delle solite circostanze cui si va incontro in tutti gli altri viaggi; in quelli, per non sbagliare, basta seguire la strada o chiedere alla gente del luogo, qui, invece, sono proprio le strade più frequentate e più conosciute a trarre maggiormente in inganno.
La felicità è da sempre ciò a cui tende l'uomo. Artisti, scrittori, registi (come non citare lo splendido film di Muccino "La ricerca della felicità"), cantanti ( ahimè, non posso non ricordare Albano e uno dei suoi cavalli di battaglia), filosofi e poeti nelle loro opere hanno dato le loro versioni più o meno profonde ad una domanda di per sè semplice, ma che ha risposte talmente disparate, diverse e infinite che oserei definire, riprendendo il paragone dato da Dio a Abramo riguardo la sua discendenza, "numerose come le stelle del cielo": come si ottiene la felicità? La ricerca di essa è cosi fondamentale per l'uomo al punto che nella Dichiarazione d'Indipendenza delle 13 colonie americane del 4 luglio 1776 è uno dei 3 cardini dei diritti fondamentali "[...] essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità".
Tra i tanti, il filosofo latino di origini spagnole Seneca ci dà la sua versione nel breve dialogo "De beate vitae". Egli ritiene che la felicità, resa in latino con la perifrasi "beata vita", dato che il termine non ha un corrispettivo in un'unica parola, sia un percorso che l'uomo deve intraprendere singolarmente, non lasciandosi trascinare dal volgo, dalla folla ignorante che svia e che identifica il benessere in attività o beni non necessari. In un'ottica, secondo me, paradossalmente epicureista, filosofia ostile in realtà a quella stoica a cui aderisce lo stesso Seneca, l'uomo dovrebbe sostanzialmente isolarsi, quasi riprendendo il motto caro a Epicuro "vivi nascosto", dovrebbe intraprendere la via per la felicità solo, per non cadere nell'invidia, assolutamente da debellare, sdradicando, dunque, una delle credenze che tuttora noi crediamo valida, ossia che "la vera felicità è condivisa". Essendo una strada individuale, la colpa della nostra infelicità, secondo il filosofo, è puramente da ricercare in noi stessi. Noi siamo i responsabili poichè non riconosciamo il nostro obiettivo, ci conformiamo alla massa e ci rifugiamo in beni effimeri conseguendo la ricchezza. Un commento relativo a questo andrebbe fatto, dato che Seneca non fu di certo un personaggio "che faceva fatica ad arrivare alla fine del mese" come si suol dire ai tempi d'oggi. Lu sua opinoine sull'argomento è, quindi, questa. A ognuno di noi sta la sentenza, cosa in cui Seneca sarebbe d'accordo, data la sua idea di individualità del percorso. Essere felici vuol dire intraprendere una strada impervia e sconnessa a distanza "dal volgo pecorone" (espressione di Seneca eh) oppure sta nel "tenersi per mano e andare lontano" o "un bicchiere di vino"? (ho dovuto citarlo, perdonatemi).
Davide Zennaro
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